Intervista ad Antonio Buono: “per i miei piatti parto dai colori..”
Caro Antonio, raccontaci la tua carriera in cinque tappe fondamentali.
Ho cominciato a lavorare molto presto, avevo poco meno di quattordici anni quando ho ricoperto i primi incarichi nelle cucine di ristoranti perlopiù modesti, poi, grazie all’incontro con personaggi che io definisco “chiave” per la mia carriera le cose si sono evolute molto in fretta. Domenico Magnifico, chef romagnolo, è stato il primo a farmi avvicinare alla ristorazione gastronomica intesa in senso moderno, presso il suo ristorante di Cervia. Ma è stato sotto la guida di Rocco Iannone, primo chef stellato per cui abbia lavorato, che ho imparato quanto il sacrificio e la fatica spesi in cucina fossero importanti per la crescita professionale.
Così per progredire maggiormente e dare più internazionalità alla mia formazione mi sono trasferito in Spagna sotto le tre stelle dello chef Santi Santamaria. Lui è stato uno dei più grandi della sua nazione, ed è li che ho compreso quanto fosse importante evolvere mantenendo sempre un occhio fisso sulla cucina della tradizione.
Dopo essere rimpatriato e tornato da Inannone sentivo che la mia formazione aveva ancora delle lacune: l’Italia e la Spagna sono due nazioni centrali per la cucina mondiale, ma la Francia non può essere considerata da meno. Così eccomi nel ristorante Mirazur di Menton, sotto la guida di Mauro Colagreco dove ho militato per oltre sette anni. Li ho capito come l’estro e un briciolo di follia possano essere l’ingrediente giusto per una cucina di livello alto. È in questo ambiente, duro ma ricco di soddisfazioni, che ho conosciuto Valentina, con cui ho deciso di mettere su il mio ristorante Casa Buono a Trucco (Ventimiglia), e che ha dato alla luce il nostro primogenito Gioele nel 2020, anno in cui le cose sono cambiate ancora una volta. Certo, con l’avvento del covid e la chiusura del tunnel del Tenda non sono stati momenti facili, ma per certi versi queste circostanze ci hanno permesso di lavorare con la giusta calma e di mettere su l’attività un passo alla volta, ora iniziano a vedersi i risultati e speriamo che questo cammino ci porti lontano…
Come si è evoluta la ristorazione in questi ultimi anni?
Sicuramente negli ultimi anni l’attenzione mediatica si è concentrata molto sul nostro mondo. Questo ha dei pro e dei contro: da un lato ha permesso ad una fascia di persone molto più amplia rispetto a una volta di avvicinarvisi. Ci sono dei posti dove con prezzi competitivi si può gustare un’ottima cucina. Dall’altro, alimentati anche dal focus continuo e smisurato dei social, tante persone si lanciano in giudizi affrettati e lacunosi, in pochi conoscono veramente e capiscono i sacrifici che stanno dietro al nostro lavoro. Fare il cuoco nel 2023 vuole dire dedicarsi davvero anima e corpo alla cucina, possiamo dire che sia un aspetto intrinseco alla vita.
E come pensi si evolverà nei prossimi?
È molto difficile fare previsioni. Certo esistono degli argomenti di estrema attualità e importanza; ad esempio facciamo del nostro meglio per condividere e portare avanti delle scelte sostenibili. Quest’ultime non sempre però dipendono solamente da noi ma risultano essere molto condizionate dall’esterno…
Dall’idea iniziale all’impiattamento, qual è la parte più creativa del tuo lavoro?
Non sono uno che studia nel dettaglio i suoi piatti e poi non li modifica più; sovente parto con un’idea che poi modifico nelle varie fasi. Mi capita anche di cambiare alcune cose al momento dell’impiattamento. Altre volte mi accorgo di possibili migliorie che posso apportare alle mie creazioni, così modifico una portata da un giorno all’altro. È uno degli aspetti belli di avere una cucina ed un menù giornalieri. Diciamo che vado “a mano libera”.
Da cosa ti fai ispirare maggiormente per i tuoi piatti?
Diciamo che nella mia attività vado molto a sentimento, mi piace alzarmi la mattina e in base a come mi sento creare qualcosa sempre diverso. Bisogna dire che le mode influenzano anche il processo creativo, adesso, ad esempio, è molto in voga la monocromia: ecco, possiamo dire che sovente parto dal colore per creare.
Bello! Quindi mi stai dicendo che c’è una corrispondenza tra colore e sapore? Questa cosa mi rende fiero perché è una cosa che penso da molto, anche se da cuoco super amatoriale…
Si certo, un po’ possiamo associare le due cose; ad esempio prendi il giallo: cozze, zafferano e finferli, tutti caratterizzati da toni di giallo stanno benissimo assieme. Un altro esempio è dato dalle stagioni: ad esempio la primavera, molti degli ingredienti che ne derivano sono tipicizzati dal verde, per l’estate invece ci sono colori più vivaci, i sapori sono più forti. In autunno puoi partire dall’arancio, pensa a un buon risotto alla zucca in cui bilanci l’acidità con dell’arancia…
Esiste un piatto che ha un valore particolare per te o che semplicemente preferisci cucinare?
Direi che se parliamo di carne amo cucinare il pollo, non è da tutti saperlo fare in un certo modo. Mentre se mi parli di verdura direi su tutte la barbabietola.
Nella tua cucina quanto è importante l’impiattamento e quanto l’esperienza sensoriale?
Il sapore viene prima di tutto. L’estetica certamente fa la sua parte ma ci sono cose anche molto semplici, persino un po’ banali o bruttine alla vista che sono molto buone. Personalmente amo impiattare e inventare cose nuove anche in questo ambito, ultimamente però il trend sta cambiando. Qualche tempo fa si vedevano piatti sofisticatissimi, in una sola portata c’erano decine di elementi, ora si tende sempre più alla semplicità, giusto un componente principale e qualche altro accessorio.
Qual è secondo te l’importanza dell’arredamento e dello studio che vi si cela dietro per un locale di alto livello?
Penso che la cucina di un posto abbia un certo messaggio da dare al suo ospite; l’arredamento può aiutare tale messaggio a passare. L’arredo è importante, come nella mia cucina se parti da un materiale di qualità puoi permetterti di lavorarlo il meno possibile: possiamo dire che i materiali nella loro semplicità sono sempre più belli.
Sono convinto che poco per volta ci sarà un ritorno alle origini, meno lavorazioni ma di qualità e quindi meno sprechi, meno cose inutili…
Questo è molto interessante, sai noi come Groppo sosteniamo da tempo che per andare verso un futuro più sostenibile sia importante recuperare i valori antichi per cui un mobile, un vestito o un piatto non erano usa e getta ma fatti per durare. Questo comporterebbe meno rifiuti, meno energia impiegata nella produzione continua per oggetti di bassa qualità; e tutto semplicemente recuperando valori che fino a 50 anni fa facevano parte della nostra cultura.
Esatto, io credo che serva davvero un cambio di passo altrimenti tra un po’ di anni non sappiamo dove andremo a finire. Il fatto di produrre oggetti semplici, ma resistenti e fatti per durare nel tempo sicuramente è un buon punto di partenza. E poi tu meglio di chiunque conosci l’arredamento che ci avete fatto qua nel ristorante no? Abbiamo scelto legno di rovere, ottone, e pietra, tutto caratterizzato da linee semplici e pulite; l’ottica è quella!
Una volta mi hai detto che a casa non tocchi mai un fornello, pensa Valentina a occuparsi di tutto, quindi tu come occupi il tuo tempo libero?
Beh, semplice, quando Valentina cucina c’è almeno un figlio che piange che va guardato [risate]. Scherzi a parte sono molto impegnato, il poco tempo libero che ho lo dedico alla mia famiglia e a coccolare i miei figli. Ora che sono molto piccoli è giusto così, un domani vedremo.
Per concludere, se tu avessi una macchina del tempo che consigli daresti al giovane Antonio Buono in procinto di iniziare la sua carriera, o ad un giovane chef appassionato che si stia approcciando al mondo dell’alta ristorazione?
Il consiglio che darei al giovane me è quello di stare più tempo possibile in cucina a lavorare. Bisogna dedicare anima e corpo a questo lavoro, alla cucina. Molti ora si illudono di raggiungere in poco tempo traguardi che è normale impiegare anni anche solo ad avvicinare. Se vuoi qualcosa bisogna lavorare duro tutti i giorni per ottenerla, stare li all’esterno a guardare serve a poco.
In sostanza, parlare poco e camminare!